un violinista per il carnevale
giovedì 10 marzo 2011
La buriana è passata, come avrebbero detto un tempo i vecchi marinai. E anche quest’anno il buon Carnevale è passato. Giove Pluvio all’inizio è stato bizzoso, regalando una splendida giornata di sole subito seguita da una domenica grigia, un lunedì piovoso e un giovedì grasso da dimenticare. Poi, però, si dev’essere in qualche modo pentito, perché ha spazzato un po’ le nuvole ed ha ceduto il posto ad Apollo che, con il suo carro solare, ha riportato l’allegria e il buonumore.
Di gente ce n’era tanta, forse troppa, di maschere decisamente poche anche se, con maligna soddisfazione, ho notato che quelle insulse che vengono definite “di fantasia” - forse perché gli autori ne hanno talmente poca da non riuscire a trovare loro né una collocazione né tantomeno una definizione - sono in netto calo, sostituite da travestimenti storici o ironici che spaziano dal classico Doge alla Statua della libertà in versione cheap con tanto di fiaccola e corona in cartone pronte a sfidare, e quindi a soccombere, contro le intemperie.
Il tema era l’Ottocento e devo ammettere che si è sposato benissimo con quello che aleggia un po’ in tutto il paese, con grandi esecuzioni del Canto degli Italiani, più noto come Fratelli d’Italia o Inno di Mameli (tra parentesi mio avo che, nel celebre ritratto di Domenico Induco conservato al Museo del Risorgimento di Genova, mi assomigliava quando avevo quell’età), e senso patriottico, con buona pace dei vapensieristi che talvolta fanno rivoltare il buon Verdi nella tomba. Ho incrociato per strada molti distinti gentiluomini in tabarro e cilindro, supposte Violette Valery, soldati francesi, austriaci e piemontesi, tutti ricostruiti con gusto per il dettaglio e tanta voglia di divertirsi.
La palma d’oro, però, la darei a Marc Chagall, o meglio al suo violinista, o meglio ancora a Rossana Molinatti, quella minuscola, simpatica e geniale ragazza di ottant’anni che, a mio avviso, da anni riesce a cogliere in pieno lo spirito di questo nostro Carnevale.
Con grandissima abilità e tonnellate di fantasia, ogni anno si confeziona un costume che richiama una celebre opera d’arte: dal classico Leone Marciano al San Teodoro della colonna in Piazza (con tanto di drago) fino a confrontarsi con sfide assai più impegnative e, apparentemente, impossibili come Il bacio di Klee, Ettore e Andromaca di de Chirico, l’Italiana di Picasso passando per Tiepolo, l’Angelo bizantino del Tesoro di San Marco e tante altre incredibili amenità. Quest’anno si potrebbe dire che abbia superato se stessa, riproducendo Il Violinista di Chagall in tutti i suoi squillanti colori, compresa un’ombra rosa-violetto sul frontino del cappello ed una faccia verde in cartapesta che, per anamorfosi, guardandola riproduceva proprio quella del dipinto. Oltre alla sua meravigliosa fantasia, bisogna riconoscere a Rossana uno spirito unico: così “conciata” non si limita a fare la bella statuina davanti ai fotografi, ma gira per campi e calli, partecipa a spettacoli in qualità di spettatrice.
Ed è proprio ad uno spettacolo al Teatro a l’Avogaria che l’ho individuata. Se ne stava buona buona seduta in una poltroncina d’angolo, ridendo e divertendosi come una matta quando Maurizio Bastinetto intonava, parafrasando Battisti “Io lavoro e penso ai schei, torno a casa e penso ai schei, le telefono e intanto penso ai schei…”. Poi, a furor di popolo, l’hanno fatta salire sul palcoscenico.
Ed è stata un’ovazione.