il tricolore sull’iceberg
lunedì 14 marzo 2011
I centocinquant’anni dell’unità d’Italia ormai sono alle porte e, un po’ dappertutto, si cerca di festeggiarli degnamente. Anche a Venezia ci sono state e ci saranno numerose manifestazioni, alcune scontate come l’esposizione delle bandiere sulle case, altre più originali come una visita guidata sui luoghi del Risorgimento in città. Ovviamente anche il centro musicale per eccellenza, la Fenice, ha giustamente pensato di organizzare qualcosa e ne è nato un concerto di musiche verdiane a sfondo patriottico, intitolato appunto “Il concerto del Tricolore”.
Ottima iniziativa, ancor più apprezzata perché, stando alle centinaia di locandine sparse un po’ dappertutto per la città, era aperta a tutta la cittadinanza: chiunque avesse voglia di assistervi, bastava si recasse presso la biglietteria del teatro dalle ore 10.00 di lunedì 13 marzo e poteva ritirare due inviti.
Dicevo che era un’ottima iniziativa per più di un motivo: innanzitutto perché era un modo come un altro per ricordare una pagina di Storia importante che ha condizionato (nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista) tutti noi, in secondo luogo perché ascoltare della buona musica come quella del Cigno di Busseto fa sempre bene, in terzo luogo perché era un modo per far accostare alla musica e a quel gioiello che è (era?) il Teatro la Fenice.
Ora vi chiederete come mai finora abbia deciso di usare il tempo imperfetto. Ho usato il tempo indicativo imperfetto perché sta ad indicare un’azione che si svolgeva nel tempo fino a poco tempo fa ed ora, purtroppo, non si svolge più.
Ma procediamo con ordine passando in rassegna come si sono svolti i fatti: quando ho visto i cartelloni ho deciso che sarebbe stata un’occasione interessante e importante alla quale partecipare, ma poiché i biglietti pro capite, giustamente, erano limitati a due e non avevo amici e conoscenti che potessero ritirali per mio conto, ho cercato di organizzarmi e, alle nove scarse, mi trovavo in Campo San Fantin, proprio davanti alla scalinata che conduce al teatro. Come avevo immaginato, c’era già presente un capannello di gente in attesa che aprissero la biglietteria ma, fortunatamente, una gentile signora dallo spiccato senso dell’organizzazione, aveva tirato fuori dalla borsetta alcuni fogli di carta e, con una penna e un paio di forbicine, ne aveva ricavato una serie di fogliettini numerati regolacoda, come accade dal dottore o nei suipermercati. Tutti avevano gradito l’operazione, accettando di buon grado il proprio turno, ma anzi! Dirò di più: ad un cero momento, si è deciso, con un passa-parola collettivo, di mettersi tutti in fila per due, in ordine progressivo di arrivo. Una cosa da far invidia ai sudditi di Sua Maestà!
Al sottoscritto era capitato il numero 43 che, tutto sommato, pensavo non fosse poi così male: il Teatro la Fenice, dopo la ricostruzione, ha una capienza di 1000 posti e, se la matematica non è un’opinione, o almeno così mi avevano insegnato, se a 1000 (i posti) ne togliamo 86 (quelli assegnati prima di me) ne rimanevano ben 914, un numero più che sufficiente per poter avere un posto discreto. Ovviamente, ho pensato, si sarebbero dovuti togliere quelli riservati alle autorità e relative consorti, ma la cifra era tele che non avrebbe dovuto dare problemi.
Ma perché uso il condizionale passato? Perché, come ci insegnavano le maestre e i buoni professori, il modo condizionale indica un’azione che dovrebbe compiersi ma che dipende da un “se…”.
E in questo caso il “se” c’era, eccome! Se n’è accorto chi è entrato per primo e ha scoperto che in platea erano disponibili solo 4 posti (Avete capito bene: 4 posti! Non 40, ma SOLO 4!). E degli ordini di palco, nemmeno a parlarne. Tutti esauriti.
Rimanevano solo alcuni posti in prima galleria e quelli del loggione. E infatti quando è toccato il mio turno, l’impiegata del botteghino mi ha proposto l’alternativa tra due sedute in “piccionaia” e due in prima galleria, ma di quelle di solo ascolto, e cioè con qualche palo o colonna davanti che ti impediscono la visuale. Per carità, qualcuno mi potrà obiettare che i veri intenditori si rintanano lì in alto (noti e terribili i Loggionisti del Regio di Parma che, spartito alla mano, controllano se i cantanti di turno eseguono correttamente tutte la note e, in caso contrario, non esitano a riempirli di fischi e sonori buuh!) perché le onde sonore tendono a salire e da lassù si sente meglio, ma diciamocela chiara, andare in palco o in platea rispetto alla piccionaia, è tutta un’altra cosa.
Ma ritorniamo alla vicenda: sinceramente stupiti, e non poco innervositi, io insieme ad altri abbiamo cercato di chiedere spiegazioni, anche perché non ci voleva un Einstein per capire che i biglietti disponibili non sarebbero bastati nemmeno per la metà della gente che attendeva in coda.
La risposta da parte dell’impiegata è stata categorica quanto, per lei, naturale: “ Il resto lo abbiamo dato alle autorità!”. D’accordo, c’era di mezzo anche il Comune, la Provincia, la Prefettura e un Ministero, ma sinceramente più di 600 posti (ci hanno detto che ne avevano riservato un terzo dei disponibili), che poi a occhio erano ben di più, mi sembra francamente un numero assurdo.
Eppure… eppure c’era quel “se”, per cui, se ritorniamo alla saggia matematica, potremmo impostare una proporzione: “IL CITTADINO” : “L’ASPETTATIVA” = “LA CASTA” : “SE” che, leggendolo in soldoni, dice più o meno “Il cittadino sta alla sua aspettativa come la casta sta al se”. E in questo caso il “se” è l’incognita che, come uno spiritello malvagio, ti piomba addosso e ti scombina i piani. Ed è solo la punta di un pericoloso iceberg che vaga per questo nostro paese e facendo danni.
Poteva essere una bella occasione: si è risolta, come al solito, in un’occasione mancata.
L’hanno definito “Il concerto del Tricolore” simbolo dell’Italia. Già, ma di quale Italia?
Post Scriptum:
Con sommo piacere, alla mia segnalazione c’è stata una coda: l’intraprendente Paola Vescovi de IL GAZZETTINO, quotidiano di Venezia, ha indagato chiedendo spiegazioni. Ed ha ottenuto alcune cifre che, però, alla fine non fanno tornare i conti.
Per chi avesse voglia di leggerlo, allego l’articolo pubblicato.
FENICE, GLI ESCLUSI IN RIVOLTA di Paola Vescovi. (da IL GAZZETTINO del 15.03.2011)