a caccia di funghi tra calli e canali
venerdì 25 marzo 2011
Vi è mai capitato di andar per boschi in cerca di funghi? È un’esperienza rilassante e piacevole che, però, può tramutarsi, secondo gli esiti, in una grande frustrazione o in un altrettanto intensa soddisfazione. Ma voi mi chiederete che cosa centrino i funghi con la nostra città: di certo non mi riferisco alle muffe, più o meno dense, che purtroppo si diffondono in più di una casa e, troppo spesso, nei troppi monumenti lasciati al proprio destino. Il mio è solo un esempio, o meglio, per dirla in modo più altisonante, una similitudine.
In Venezia, con l’esplodere del Carnevale negli anni ’80, sorsero come funghi - e come vedete, la similitudine calza - una miriade di botteghe che producevano, o semplicemente “spacciavano”, maschere. E questo a discapito di tante altre attività forse più anonime ma assai più funzionali alla linfa vitale che dovrebbe avere ogni città come i macellai, i negozi di frutta e verdura, i negozi di alimentari ma anche le ferramenta e così via.
Ma ritorniamo alle maschere, pardon ai funghi: se girate per i boschi vi imbattere in enormi quantità di miceti immangiabili, tra i quali alcuni proprio pericolosi e altri talmente insapori che non vale la pena di coglierli. Se si cerca bene, però, si trovano anche i funghi mangerecci con i quali è possibile fare ottimi intingoli o succulenti pastasciutte e risotti.
E poi ci sono loro, i re: sono i porcini. Funghi meravigliosi, contraddistinti da due principali caratteristiche: la prima è data dal loro gusto e profumo incomparabili, la seconda… dalla difficoltà nel trovarli. Nella nostra similitudine possiamo dire che i funghi porcini sono i veri mascarari (o mascareri che dir si voglia), quegli artisti della cartapesta e del cuoio che studiano, creano, applicano la loro fantasia per produrre maschere che, spesso, sono vere e proprie opere d’arte, più di una volta saccheggiate dal grande cinema internazionale, basti pensare alla scena della festa in casa di Leonato nel Tanto rumore per nulla di Kenneth Branagh e in quella dell’orgia in Eyes wide shut dell’immenso Stanley Kubrik.
Tra questi ce n’è uno che, per alcuni motivi che vi dirò, potremmo definirlo il “Re dei porcini” o meglio ancora un’amanita cesarea che, stando ai veri intenditori, è il miglior fungo che si possa gustare. Si chiama Guerrino Lovato ed aveva, fin poco tempo fa, una bottega dal nome molto evocativo: Mondonovo, che richiamava alla mente quei luoghi di meraviglia in cui nel Settecento si proiettavano le lanterne magiche e le altre diavolerie che incantavano il pubblico.
“Guerrino il porcino”, che detto così può suonare come il buffo nome di un cavaliere delle favole, non è più bravo degli altri, ossia, non sta a me fare paragoni: tutti i mascarari-pocini, ciascuno secondo il proprio estro e la propria abilità, ha un determinato e inconfondibile valore. No. Guerrino, oltre ad avere una mano di scultore a dir poco felicissima accompagnata ad un’ottima fantasia, è un uomo curioso. Anzi, curiosissimo: ma non nel senso che attira l’attenzione, bensì proprio nel senso letterale del termine. E in questo sembra, anche fisicamente, un personaggio rinascimentale, proprio di quel Rinascimento che sta studiando da una vita.
Sì, perché Guerrino il mascararo non si limita e lavorare gesso e cartapesta ma consulta tonnellate di volumi, gira per archivi, tiene conferenze, scrive articoli d’arte per riviste prestigiose. E, come tutti i grandi rinascimentali, ha un chiodo fisso che si porta dietro da anni: Lorenzo Lotto, il pittore veneziano vissuto a cavallo tra la fine del XV e la metà del XVI secolo. Ritrattista sublime, ebbe una vita costellata di peregrinazioni da un luogo all’altro. Religiosissimo, non si arricchì mai come invece capitò ai vari Tiziano, Raffaello, Veronese.
Fino a poco tempo avevamo solo una vaga idea delle sue fattezze, limitate ad un ritratto eseguito per una tarsia lignea nella chiesa di Santa Maria Maggiore in Bergamo e un affresco di Trescore Balneario (oggi, però, disconosciuto dalla critica), nonché un’incisione di Carlo Ridolfi, realizzata nel 1648 per il suo “Le meraviglie dell’arte ovvero le vite degli illustri pittori veneti”, che, però, è sempre stata classificata come “ritratto di fantasia”.
Poi venne la prima scoperta: proprio qui in Venezia, nella chiesa di San Giovanni e Paolo ed in particolare sulla pala dedicata a Sant’Antonino, Guerrino ha individuato l’artista, ritratto come sé medesimo tra una folla di poveri questuanti che ricevono l’elemosina. La scoperta fu pubblicata sul Giornale di Vicenza (Invito chi ne volesse sapere di più a ciccare QUI).
Il mondo dell’arte è però spietato ed un noto ed illustre cattedratico ha citato la scoperta in una prestigiosa rivista d’arte “dimenticandosi” di citarne l’autore, col risultato della rottura di una pluriennale amicizia.
Ma Guerrino oltre che essere un artista, e uno strenuo difensore delle bellezze di questa nostra città, è anche molto cocciuto e tenace ed ha continuato la sua ricerca, che a questo punto potremmo definire un’epica quest come nelle saghe cavalleresche, inseguendo il suo beneamato Lotto.
E come accade proprio quando si va a funghi, capita che il porcino più prezioso si trova proprio lì, sul ciglio della strada, ma nessuno fino al quel momento l’aveva notato. O meglio, nel nostro caso tutti si erano accorti che si trattava di un fungo, ma nessuno si era preso la briga di controllarlo e rendersi conto che uno dei funghi più buoni e succulenti di tutto quel bosco. Guerrino l’ha fatto. Già, il “porcino” ne ha scoperto un altro. E questa volta può tornare a casa come un trionfatore, orgoglioso della sua scoperta.
Ma di cosa si tratta? Per saperne di più, vi invito a leggere il bellissimo articolo che Paolo Coltro gli ha dedicato sulla Nuova Venezia di oggi (clicca QUI per leggerlo). Io cercherò di riassumervelo in breve: esiste un dipinto conosciuto da anni conservato alla National Gallery di Ottawa che, finora, portava il titolo di Ritratto di uomo con cappello in feltro. Ebbene, il nostro mascararo-porcino, ha avuto l’illuminazione ed ha cominciato a studiarlo, come fa uno scultore, sia dal punto di vista fisiognomico paragonandolo alla tarsia ed al ritratto della pala di Sant’Antonino, sia inquadrandolo nella mentalità - e quindi nella simbologia - dell’epoca, col risultato di riuscire a dimostrare che non solo si tratta di un autoritratto, ma che il soggetto è proprio il pittore stesso (per saperne di più ho preparato QUI un breve schema). Improvvisamente l’incisione di fantasia acquista valore probatorio: io stesso, per divertirmi, ho creato un piccolo morphing che veramente ha dello stupefacente.
Il sasso è stato gettato, o meglio il porcino è stato individuato, ed ora si attendono risposte e commenti da parte degli altri studiosi. Ma, a questo punto, ame importa relativamente: ciò che mi importa è che, fortunatamente, in questa città esistono ancora personaggi come Guerrino che, chi in un campo e chi nell’altro, silenziosamente lavorano e cercano, cercano e, se hanno un po’ di fortuna, ci riescono a svelare tesori e misteri occultati dalla spessa patina del tempo.
Per saperne di più vai al blog ENIGMI D’ARTE Per vedere gli schemi CLICCA QUI
Guerrino Lovato e Lorenzo Lotto
In alto a sinistra l’autoritratto presunto di Lorenzo Lotto, a destra quello di Carlo Ridolfi.
A fianco il morphing tra i due ritratti.