STORIE DI STORIA VENEZIANA

Racconti con schede di inquadramento storico

 

Narrare la storia


Da sempre, l’uomo ha voluto raccontare la Storia: una storia magari poco fedele o reinventata, per appassionare gli uditori o lettori e coinvolgerli in battaglie sanguinose ricche di eroi o storie d’amore al limite dell’impossibile. Chi non ha partecipato alle avventure di Ulisse tra magie, mostri e duelli? Chi non ha parteggiato per l’umano Ettore o l’invincibile Achille? Per non parlare poi di quanto ci ha narrato Virgilio, con il tormentato Enea che, dopo mille peripezie, giunge sul suolo italico per fondare la stirpe di Roma. Fantasie? Certo. Reminiscenze storiche? Assai probabile. Schiere di studiosi, infatti, si sono date da fare per provare quanto scritto: ecco quindi Schliemann che, proprio seguendo il testo, scava e trova quella che considera la mitica Troia, ecco una torma di ricercatori intenti a sviscerare antichi testi per trovare indizi, spunti di ricerca, conferme di teorie.

Anche le fiabe, nella loro summa di fantasia, riflettono spesso qualcosa di reale: la fame, le carestie, il pericolo celato nei boschi oscuri, i soprusi dei signori, la sete di avventura. Basti pensare a Cenerentola ed alla sua scarpetta minuscola: anche se potrebbe sembrare un fatto assurdo che il Principe la cercasse basandosi solo sulla dimensione del suo piedino,  tutto quadra quando si inserisce la fiaba nel suo paese d’origine, la Cina.

Una narrativa d’impronta storica, quindi, è sempre esistita, ma spesso i parametri contemporanei dell’autore (o degli autori) si mischiavano, e per lo più prevalevano, con quella che fu la realtà  Questo fino al 1819, quando lo scrittore scozzese Walter Scott pubblicò Ivanhoe, un romanzo ambientato nell’Inghilterra di Riccardo I Cuor di Leone nel quale la trama di fantasia s’intrecciava indissolubilmente con un contesto realistico, tra personaggi realmente esistiti, accurate descrizioni d’ambiente, ricostruzione di avvenimenti realmente accaduti: con questo romanzo aveva inizio quel filone, che gode tuttora di ottima salute, noto come “romanzo storico” che, come un fiume che deborda, contagiò in breve tutta l’Europa: ecco allora in Francia comparire Nôtre Dame de Paris di Victor Hugo o I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas o in Russia La figlia del capitano di Aleksandr Puškin e in Italia I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Fu proprio Manzoni a definire tale genere di romanzo un “misto di storia e di invenzione”.

Scrivere un romanzo storico, o un racconto storico, è piuttosto difficile, poiché bisogna saper tenere un rapporto di massima onestà col lettore, cercando di controllare ogni data, ogni passaggio, ogni personaggio reale in modo da non fornire informazioni errate o, peggio ancora, volutamente tendenziose. È facile inventare un’incontro immaginario tra due personaggi, ma se non si vuole rimanere nell’ambito della pura fantasia, si deve verificare tutto il puzzle che sta loro attorno, fino a creare una possibilità che, per quanto remota, potrebbe essere stata reale. Il rovescio della medaglia, però, è quello di scivolare in un didascalismo austero e sterile, nel quale i personaggi perdono di tridimensionalità riducendosi a poco più di schemi predefiniti e in cui le pagine di narrativa sono spesso soffocate da una miriade di note ingombranti, il più delle volte superflue. Un romanzo, o un racconto che sia, ha come fine ultimo di intrattenere il lettore, di stimolare la sua fantasia, di proiettarlo in luoghi lontani, oltre che a farlo ragionare su aspetti sociali o sulla filosofia della vita. Altrimenti tanto vale scrivere un saggio, con tutti i limiti e i vantaggi che questa forma di comunicazione comporta. E qui sta, diciamo così, l’abilità e l’onestà dello scrittore: creare una storia che sia avvincente, che convinca il lettore, ma che allo stesso tempo sia leale con quanto i testi storici e le ricerche ci hanno fatto conoscere. Un cavaliere medievale non ragionerà mai come un cittadino del XXI secolo, anche se l’uomo è sempre l’uomo e certi istinti intrinseci in esso non cambiano a seconda delle epoche: la paura sarà sempre paura, quel brivido indescrivibile che produce l’innamoramento sarà sempre essenzialmente lo stesso, anche se cambierà nelle sue forme esteriori.

Su tali presupposti mi sono basato per questi racconti storici veneziani: per essi ho affrontato fatti reali e di fantasia, personaggi realmente vissuti ed altri frutto dell’immaginazione, ma il contesto nel quale si muovono ed agiscono è reale, basato su quanto le fonti storiche ed i vari studiosi ci hanno riferito. Per essi sono partito con una leggenda ambientata ai primordi di Venezia ed ho terminato con un racconto fantastico che si svolge al giorno d’oggi. Eppure in entrambi ho cercato di rispettare il contorno, le realtà che i libri ci tramandano, gli studi fatti. I personaggi, però, devono essere vivi, credibili, umani anche quando sono degli eroi: il paladino Orlando è pieno di cicatrici ed ha l’aria vissuta, il giovane Fornaretto ha paura, una paura che sfocia nell’angoscia più assoluta, ma alla fine trova il coraggio di affrontare ciò che lo aspetta con dignità; il re Enrico III di Valois è un uomo, oltre ad essere un monarca, con tutte le sfaccettature che ciò comporta e così la poetessa-cortigiana Veronica Franco, il pittore Tintoretto, il doge Antonio Priuli, per citarne solo alcuni. Nessun uomo è monocromatico, nemmeno i grandi eroi o i santi: tutti hanno provato angoscia, tristezza o gioia, tutti hanno provato speranze o delusioni, amore e odio, anche se in forme diverse, anche se sono riusciti a non esternarlo, ed è proprio questo che ho cercato di rendere, di far capire che, nonostante le varie epoche, l’animo umano non è cambiato anche se si è adeguato all’ambiente e alla società che lo circondano.

Ma perché racconti veneziani? Innanzitutto perché Venezia è la mia città, alla quale sono legato da sempre, alla quale ho dedicato i miei studi, in secondo luogo perché questa città è una vera miniera di storie e avvenimenti che si sono svolti lungo i mille anni della sua repubblica. Ed io ho provato a navigarci dentro, cercando di condurre il lettore con me: eccomi allora tra le silenziose barene scivolare su di un’antica barca o salire le ripide e umide scale che conducono nelle segrete di Palazzo Ducale o assistere incantato ad un tripudio di suoni e di colori assieme ad un re che, per la prima volta, entra in questa magica città.

Anche il “colore” di una storia per me è un fattore fondamentale: diceva il grande Leonard Bernstein in una delle sue celebri lezioni, che quando ascoltava una musica, vi leggeva dei colori. Anch’io provo la stessa sensazione quando leggo un testo o, meglio ancora, quando lo scrivo, e questi racconti ne possono essere in qualche modo il frutto, la prova: il primo inizia con tinte ovattate, tenui, perché parla di epoche remote delle quali sappiamo poco e la nostra conoscenza è anch’essa avvolta da un leggero velo di nebbia. Il secondo, al contrario, ha un incipit solare, dalle tinte vivide che, però, a mano a mano che la storia procede, divengono sempre più scure, fino a risolversi nel concitato finale. L’esatto contrario del terzo racconto, nel quale prevalgono i toni scuri, notturni, sottolineati da candele, lanterne, chiari di luna, ma che termina con un’alba radiosa, presagio di un futuro altrettanto roseo e solare. Il quarto è un susseguirsi di ori, drappi scarlatti o broccati preziosi che si stagliano su cieli azzurri e acque verdi: la sensazione di una festa inimmaginabile, che le parole fanno fatica a descrivere nella sua realtà, realtà che spesso supera la fantasia.

Col penultimo racconto sono ritornato sulle tinte livide, per rendere il clima di paura e sospetto che vigeva in Venezia dopo la cosiddetta “Congiura di Bedmar”, ambientato all’alba di un freddo gennaio.

Con l’ultimo racconto, infine, ecco ricomparire le tinte sfumate del primo, perché anche qui narro una vicenda dagli aspetti fantastici, anche se ambientata nel presente.

A tutto ciò ho cercato di abbinare diversi stili di narrazione, anche se, ovviamente, la scrittura è sempre la mia, per accompagnare meglio il lettore nell’ambito delle varie vicende: largo e lento, ad esempio, per la Leggenda del bòcolo come si conviene ad un immagine che risale a tempi remoti, con una progressione sempre più asciutta e concitata per il Fornaretto di Venezia, leggera e briosa per Il re e la Cortigiana.

Per quanto, invece, concerne l’ambientazione storica, ho cercato di essere il più fedele possibile agli spiriti delle varie epoche, agganciandomi a quanto ci è pervenuto da cronache  o da quello che gli storici ci hanno suggerito, inventando personaggi di fantasia il più possibile coerenti e credibili o adattando quanto è giunto a noi per quelli realmente vissuti. Come sosteneva Josephine Tey nell’impagabile poliziesco di investigazione The Daughter of Time (La figlia del tempo per le edizioni italiane), da un buon ritratto si possono assumere centinaia di informazioni sul carattere di una persona, informazioni che, se abbinate ai documenti e alle cronache storiche, possono darci un’idea molto concreta e veritiera su come fosse in realtà. Questa tecnica l’ho adottata per lady Alathea Talbot, mirabilmente ritratta da Rubens, la cui personalità doveva essere veramente spiccata e volitiva

Per determinare, infine, maggiormente quel confine che separa la narrazione dalla realtà storica, ho pensato di inserire, alla fine di ogni racconto, una “scheda tecnica” nella quale cerco di spiegare con dati concreti ciò che accadde in quel periodo o, come nel caso de “Il Fornaretto di Venezia” perché tale leggenda non ha fondamento.

Questi racconti sono stati una piccola sfida con me stesso, ma, devo ammetterlo, mi sono molto divertito a scriverli e, di conseguenza, ho cercato di divertire.

Se poi ci sono riuscito, lascio ai lettori la risposta.



Paolo Mameli



 

STORIE DI STORIA VENEZIANA

Racconti con schede storiche


2 volumi  - 304 pagine in BN

Formato 14x21 cm

Scritture.html
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